Ogni tanto accade. In un panorama cinematografico che sempre più stenta a dire qualcosa di nuovo o a dirlo senza forzature, accade il miracolo di trovare un gioiello praticamente perfetto.

La scommessa di girare un film in un unico ambiente claustrofobico, con un solo interprete a reggerne le emozioni è già stata fatta e vinta, si pensi a Buried di Rodrigo Cortés tutto all’interno di una bara. La situazione di Locke non è così estrema eppure nell’abitacolo della sua automobile il mondo gli crolla addosso e in quegli 85 minuti anche la sua è una lotta, se non per la vita per la dignità.
Dal punto di vista cinematografico la scommessa del film di Steven Knight è ancora più difficile, perché non vi è la disperazione di un dramma a tenere avvinghiati, eppure il film crea una solida suspense pur nel raccontare la vicenda di un uomo comune in un viaggio in autostrada. Un padre di famiglia felicemente sposato, con la famiglia a casa ad attenderlo per la partita e il cantiere ad attenderlo il mattino seguente con la più importante calata di calcestruzzo della sua vita. Ma qualcosa lo mette di fronte ad una responsabilità nuova facendogli perdere tutti i punti saldi della sua esistenza.
Al succedersi assillante di chiamate telefoniche, unici interlocutori al viaggio notturno di Locke, e ai suoi tentativi di ristabilire un ordine fa da contrappunto l’imposizione alla calma del protagonista, la sua voce pacata eppur venata da mille sfumature. Tom Hardy regge l’intero film sulla sua faccia e sulla sua voce (fate di tutto per recuperare la visione in lingua originale!) riuscendo a mantenere un equilibrio perfetto senza cedere alla tentazione degli eccessi. Perché è proprio sull’equilibrio che un film come Locke trionfa, con una sceneggiatura, dello stesso Steven Knight, che funziona come un meccanismo ad orologeria e che sa dosare con precisione affetto, rabbia, ironia, tensione ed ogni altro sentimento.
In tempo reale (la durata del film è quella del percorso in auto) e girato con dialoghi in diretta e non con telefonate preregistrate, Locke non va scambiato per un esercizio di stile ma è la dimostrazione che un film può anche reggersi su poco, pochissimo, dalla narrazione agli spazi, se c’è la forza dell’autore e ogni elemento è valido.

Gabriella Aguzzi
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