Grandi polemiche seguono il Premio Tenco a Fausto Rapetti in arte Mogol. La stessa famiglia di Luigi Tenco ha divulgato una lettera aperta nella quale sconfessa le dichiarazioni rese da Mogol nel corso della premiazione. “Mi sono battuto,” – ha detto Mogol “perché Luigi Tenco non partecipasse al Festival di Sanremo”  (alludendo all’edizione nel corso della quale si è, purtroppo, suicidato). La famiglia afferma tutto il contrario, che in realtà Mogol lo ha spinto ad andare a Sanremo. La famiglia ha poi avuto parole di elogio verso Amilcare Rambaldi, il fondatore del Premio Tenco e ha sottolineato come Mogol lo chiamasse, con un certo disprezzo, “fiorista”. 

Una certo imbarazzo, una certa contraddizione è emersa subito quest’anno, dal titolo stesso che si è voluto dare alla edizione 2021: “Una canzone senza aggettivi“. Ora, il Premio Tenco è stato fondato da Rambaldi per promuovere la canzone “d’autore” in un epoca nella quale ad essere sugli scudi erano solo e unicamente canzonette scritte appositamente per essere apprezzate dal pubblico dell’epoca.

Il merito del Premio Tenco è stato quello di dare importanza non a chi le interpreta, ma a chi la canzoni le scrive. Come un singolo quadro è solo una tappa di un percorso artistico, così lo è una canzone. Si celebra Picasso per la sua intera opera, non  per una singola tela ben riuscita. Lo stesso è per i grandi autori di canzoni. Che senso avrebbe parlare delle “più belle canzoni di Brassens o di De André o di Guccini?” Nessuno, perché ogni loro canzone, anche la più breve, ha contribuito a fare di loro gli artisti che sono.  Eppure, ascoltando i dibattiti al Premio Tenco si è assistito a un ritorno al passato: si è detto che gli autori di canzoni non fanno poesia (Brassens, nel 1967, ricevette il Premio di poesia dell’Académie française, Gabriel Garia Marquez lo indicò come il più grande poeta francese). Che, dopotutto, il testo non è così importante in una canzone, lo è la musica. Si sono fatti anche esempi inappropriati. Si è citato, con disprezzo, un verso di Guccini “stoviglie color nostalgia“, come esempio di verso orribile, mentre invece è per quello che mi riguarda, pura poesia.

Insomma un autogol che lascerà degli strascichi. SI ha l’impressione che si sia voluto fare un po’ di acrobazie per giustificare il Premio a Mogol, e che così facendo si sia finito per sconfessare la stessa storia del Premio. Mi auguro che l’anno prossimo ci sia una bella inversione di tendenza. E che si dica anche e presto, qualche parola di scusa alla famiglia Tenco.

Ecco il testo integrale della lettera aperta che la famiglia Tenco ha inviato a Mogol, protestando per il Premio a lui assegnato:

 La invitiamo a non divulgare notizie errate e fuorvianti che riguardano la vita di Luigi Tenco, cosa che già abbiamo avuto modo di scriverLe nel 2016 immediatamente dopo la trasmissione televisiva ‘Viva Mogol’ a lei dedicata da Giletti e nella quale era ospite anche Gino Paoli che cercava di correggere le Sue affermazioni fantasiose. Se Lei fosse stato realmente amico di Luigi, o se avesse anche soltanto ascoltato le parole di Paoli, non avrebbe raccontato tali fantasie ma avrebbe saputo che Luigi era l’esatto contrario del ragazzo triste e solo che Lei dipinge”.

“Contrariamente alle sue dichiarazioni relative al fatto che lei cercò di convincere Luigi a non andare al Festival di Sanremo, dobbiamo invece ricordarLe che fu proprio Lei una delle prime persone che già negli anni precedenti gli aveva scritto per tentare di convincerlo a prenderne parte. A meno che, stando ad altre Sue dichiarazioni secondo le quali Lei non avrebbe aderito alla manifestazione sanremese proprio per convincere Luigi a non andarci, in realtà lei intendesse dire che non gradiva che Luigi Tenco partecipasse a quel Festival del 1967 con la canzone ‘Ciao amore, ciao’ poiché Lei gareggiava con altre canzoni tra cui ‘La rivoluzione’ (citata nel biglietto di denuncia scritto da Luigi pochi minuti prima di perdere la vita) e sul cui retro del disco 45 giri vi era incisa la canzone intitolata ‘Ciao ragazza ciao’. Parlando di cultura non soltanto musicale, le ricordiamo che il Club Tenco, che per sua ammissione ha sempre snobbato, fu fondato da una persona davvero perbene che amava dare un palcoscenico, a costo zero, ai giovani talenti della canzone d’autore italiana che non trovavano spazio nelle industrie discografiche dell’epoca. Quell’uomo perbene, Amilcare Rambaldi, lei lo ha malamente menzionato definendolo semplicemente un fiorista”.

“Al tempo stesso Le ricordiamo che l’attuale direttivo del Club Tenco, da noi eredi di Luigi Tenco disconosciuto già da due anni per certe condotte contrarie agli scopi originari per cui concedemmo l’uso del nome ‘Club Tenco’, ha avuto il barbaro coraggio di ‘ripescare’ anche la sua figura riportando alla memoria quel discutibile ‘ripescaggio’ della commissione artistica del Festival di Sanremo del 1967 che, per l’appunto, ‘ripescò’ la sua canzone sopra citata per portarla alla finale di quella gara canora”.

“Pertanto il premio assegnatole recentemente da questo Club ormai corto di memoria ed incapace di difendere la memoria del cantautore Tenco a cui dovrebbe ispirarsi e persino del suo padre fondatore Rambaldi, ci appare più come una strategia di poca lungimiranza anziché come il riconoscimento di un vero merito artistico. Tanto più che vi è l’evidente e grave conflitto d’interessi del suo ruolo di Presidente della Siae che ha finanziato questo stesso Club Tenco, che poi l’ha premiata”. (Famiglia Tenco)