Agli Oscar trionfa The Artist, geniale omaggio al Cinema Muto. Nell’epoca frastornante del 3D l’Academy premia un film muto in bianco e nero che ricrea magnificamente il clima cinematografico dell’epoca in cui è ambientato.

Tutti ricordiamo l’irresistibile “Cantando sotto la pioggia”, commedia sull’avvento del sonoro che mette in crisi i divi del muto. Ma che oggi si girasse un film su questo tema, riproducendo l’atmosfera e il gusto dell’epoca con un risultato assolutamente delizioso è un’autentica sorpresa. Come è una sorpresa che questo film sia tutto in bianco e nero, muto e con didascalie, come se fosse una delle pellicole del mondo che sta rappresentando. 
La trovata geniale non si esaurisce qui. Il bianco e nero taglia con le sue luci personaggi e oggetti con gusto espressionista, un umorismo fine serpeggia attraverso la storia, gli attori hanno tutti la faccia giusta (in particolare il protagonista Jean Dujardin, premiato con l’Oscar, con un sorriso insolente e accattivante che ricorda una galleria di attori, Douglas Fairbancks, Errol Flynn, Clarke Gable, mentre John Goodman è lo stereotipo del produttore con sigaro), le sequenze oniriche sono ricche di fascino, l’accompagnamento musicale sottolinea le emozioni come una sinfonia (gli attori stessi hanno recitato a suon di musica), a sprofondarci ulteriormente nel clima cinematografico dei primi Anni Trenta. 
Siamo quindi rimasti folgorati da “The Artist”, storia di un acclamato Divo del Muto che viene accantonato dall’avanzare del nuovo ed oscurato da una nascente star, Peppy Miller, che lui stesso aveva aiutato quando era solo una piccola comparsa. La nuova stella è rosa da sensi di colpa mentre il successo la travolge, parallelamente alla caduta nell’oblio e nella disgrazia di George Valentin, che da accattivante sbruffone, sicuro del proprio fascino e attore anche nella vita, vede tutto sgretolarsi e arriva a toccare il fondo. 
Il regista Michel Hazanavicius ha così portato a termine la magnifica sfida di realizzare un film muto, sulla scia dei cineasti leggendari da lui più amati, rifacendosi a quel tipo di cinema interamente affidato alle immagini che riporta ad una modalità narrativa estremamente essenziale. Un film volutamente controcorrente nell’epoca frenetica e frastornante del 3D. Con l’aggiunta preziosistica di alcuni tocchi mitici, come l’utilizzo della casa di Mary Pickford come set del film e con genuini accenti di melodramma. Un Oscar personale al magnifico cagnetto Uggy.

Gabriella Aguzzi
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