“Come si fa a non essere romantici col baseball?” In questa battuta può riassumersi il senso del film di Bennett Miller e del suo eroe perdente e idealista Billy Beane. Da tempo, infatti, il Cinema Americano si è distaccato dall’autocelebrarsi nelle proprie vittorie per meglio celebrarsi, con maggior dignità, nelle proprie sconfitte.

 

Senza risalire fino a “La Battaglia di Alamo”, è proprio nella figura degli sconfitti che vede splendere la forza del sogno, su cui l’America regge i propri cardini. E alla favola del self made man che tutto può si affianca quella dell’uomo che continua a credere e sperare, nonostante tutto.
E Billy Beane è un grande perdente così come un grande sognatore. Creduto, a torto, un talento emergente del baseball, per il quale rinuncia agli studi, si dà una seconda chance come scout e quindi general manager. Ma la squadra dei suoi Oakland Athletics non può competere coi budget giganteschi delle altre squadre ed è privata dei talenti migliori. Billy, che neppure osa seguire gli incontri della propria squadra per timore di portare sfortuna, inizia ad abbracciare una nuova rivoluzionaria filosofia quando incontra il giovane laureato in economia Peter Brand il quale sostiene che si possa costruire una squadra vincente basandosi sulle statistiche e non sui nomi di star. La squadra apparentemente assurda che Billy mette in piedi con l’aiuto di Peter – nonostante tutti, a partire dall’allenatore, gli siano avversi – composta da nomi sconosciuti o poco affidabili, inanella una serie di risultati sorprendenti. Non ce la farà ad arrivare al titolo, ma avrà dimostrato che le cose possono cambiare. Nel 2005 infatti i Boston Red Sox, con i quali rifiutò un contratto da capogiro per restare con gli Oakland Athletics, vinsero proprio adottando il metodo da lui sperimentato. Billy Beane è tuttora in attesa di vincere.

Va da sé che un film come Moneyball (L’arte di vincere) basato su questa storia manda in sollucchero il pubblico americano, che vi vede riflessi i propri ideali, quali l’impegno al raggiungimento del miglioramento collettivo, della “squadra” appunto. Noi, che siamo lontani dal mondo del baseball e da ciò che può simboleggiare, restiamo più freddi ed anche più annoiati. Assolutamente interessante la visione per nulla banale e scontata come in altre pellicole su questo sport, e certamente meno retorica, e l’angolazione che ci porta ad osservare il tutto dall’interno, il dietro le quinte non solo degli allenamenti ma delle trattative. Ma non riusciamo a comprendere la pioggia di nomination che l’ha ricoperto. Tra queste si annovera Brad Pitt, candidato a Miglior Interprete nel ruolo di Billy Beane, ma è il grosso e goffo Jonah Hill nel ruolo di Peter Brand (nomination come Attore Non Protagonista) a lasciare il segno.

Gabriella Aguzzi
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