Metti insieme una mezza dozzina di geni: un matematico, un paio di linguisti, un campione di scacchi, un’esperta di enigmistica. Chiudili in un luogo protetto e sotto copertura e dai loro un rompicapo da risolvere. E’ quanto successe davvero in Inghilterra, durante la seconda guerra mondiale. Il rompicapo in questione era il codice Enigma, usato dai nazisti per criptare i messaggi riguardanti le operazioni militari.

Per anni i loro messaggi, pur intercettati, risultarono assolutamente incomprensibili. Fu Alan Turing a ideare una macchina in grado di decifrarli. Questo, si calcola, abbreviò la guerra di due anni salvando milioni di vite umane.

A questa controversa figura di genio il regista norvegese Morten Tyldum dedica “The imitation game”, un film bellissimo, splendidamente costruito e magistralmente interpretato da un cast straordinario. In un avvincente gioco di flashback ripercorriamo tutta l’esperienza umana di Turing, prodigioso genio dei numeri, ma anche creatura sull’orlo dell’autismo, assolutamente inetta alla convivenza sociale. Omosessuale in un’epoca in cui questo era considerato un reato, Turing fu martire dell’ottusità di un Paese che prima ne sfruttò il talento visionario e poi lo confinò in un alienante esilio sociale, spingendolo al suicidio, a soli 41 anni.

Magistrale è l’interpretazione di Benedict Cumberbatch, ma tengono saldamente anche tutte le altre fra cui quella di Keira Knightley, nei panni di Joan, unica donna del gruppo, e di Matthew Goode, fascinoso campione di scacchi prima rivale e poi sostenitore dell’opera di Turing. Mark Strong e Charles Dance sono perfetti nel rappresentare le due facce del potere e una menzione speciale va ad Alex Lawther, sorprendente interprete del giovane Turing nei dolorosi anni di college.

“The imitation game” è un film da non perdere perché è l’occasione per scoprire un pezzo di storia tenuto segreto per oltre mezzo secolo e anche una dolente figura di genio, relegato all’oblio e ingiustamente immolato sull’altare del perbenismo. Le ultime inquadrature ci offrono l’immagine di un uomo piegato dalle sue intime sofferenze, ma anche dall’ottusa idiozia della sua epoca. Solo, con l’unico compagno di una vita, la macchina che lui chiamò  Christopher, ma che poi divenne nota come “macchina di Turing”. Quello che oggi chiamiamo computer.

Gloria Bondi
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