La morte di Danton, capolavoro di Georg Büchner, fu scritto circa 40 anni dopo gli avvenimenti, quando il giovanissimo autore (era appena ventunenne) tentava di fuggire dall’Assia, dove era ricercato per attività sovversive. Il testo, di grande forza poetica oltre che di vivida tensione drammatica nel riproporre uno dei momenti cruciali della Rivoluzione francese, è stato affrontato da Mario Martone con una messa in scena che ha richiesto un largo dispiego di forze: oltre tre ore di spettacolo, cast d’eccezione con circa 30 attori, una squadra di 20 tecnici, per una produzione da “kolossal” promossa dallo Stabile di Torino. Andato in scena allo Strehler di Milano dal 1° al 13 marzo, ha già conquistato il pubblico e guadagnato l’approvazione dei critici.
Il protagonista Danton, interpretato dal corpulento Giuseppe Battiston, è un uomo che non disdegna il piacere della vita: liberale, di posizioni più aperte e moderate, contesta a Robespierre la fredda facilità con cui manda a morte gli avversari politici, nonostante sia stato egli stesso l’uomo ad aver dato vita al Tribunale rivoluzionario. Per le sue posizioni moderate e per aver scelto una vita agiata e dedita al piacere viene accusato di tradimento da Robespierre.
Robespierre vive a sua volta un dramma della coscienza: la sua inflessibilità lo porta a scegliere la condanna a morte di Danton, ma dopo l’incontro decisivo con il suo avversario politico vacilla nella sua scelta e vive una notte di incubi. L’interpretazione magistrale di Paolo Pierobon, già attore ronconiano, ne mette in luce ancora di più la gelida e calcolatrice natura intransigente, votata esclusivamente alla causa rivoluzionaria, sacrificando ad essa ogni briciolo di umanità. Intorno a questi due personaggi, ruotano gli altri protagonisti della Rivoluzioni, interpretati da un’illustre compagnia di attori: Iaia Forte nei panni di Julie, moglie di Danton, Paolo Graziosi, Alfonso Santagata, Fausto Cabra…
È sull’inconciliabilità di questi due poli – il moderato Danton e l’incorruttibile Robespierre – che si costruisce il dramma nella scelta registica di Martone: l’unico esito possibile è la terribile vittoria della ghigliottina, macchina di morte che imperturbabile sovrasta i destini degli uomini, oscillando impietosamente sul palcoscenico.
Martone dà espressione a tutte le classi sociali della Francia del 1794, pone il “quarto stato” in platea, affamato e in ogni caso fuori dai piani della Rivoluzione, da cui esige pane e sangue; ne riprende filologicamente i costumi e costruisce un arredo scenico impeccabile e curatissimo, di cui i quattro sipari rossi diventano parte fondante oltre che straordinaria macchina teatrale nel creare quadri a più piani e nel suggerire l’idea di un taglio cinematografico nel rapido succedersi delle scene. Nelle tre ore di rappresentazione Martone ha cercato di conferire dinamismo al dramma e di confezionarlo come un abito sartoriale: se da un lato questo comporta l’approvazione degli occhi dello spettatore, dall’altro va perso talvolta lo straordinario scintillio verbale del testo (per altro considerato per lungo tempo non rappresentabile), la cui densità poetica e ricchezza di temi non sempre possono essere apprezzate nella concitata successione delle scene.
Valentina Giordano e Luigi Metropoli
Al Teatro Stabile di Torino
di Georg Büchner, traduzione Anita Raja
regia e scene Mario Martone
con Giuseppe Battiston, Fausto Cabra, Iaia Forte, Paolo Graziosi, Paolo Pierobon
costumi Ursula Patzak
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