“Il registro dei peccati” è il nuovo spettacolo di Moni Ovadia, in scena al Piccolo Teatro Grassi di Milano dal 22 al 27 settembre 2015, che introduce al mondo del Khassidismo sotto forma di “rapsodia lieve per racconti, melopee, narrazioni e storielle”.
Ovadia canta la cultura Yiddish a partire dal grande movimento spirituale dell’ebraismo orientale che nasce con Israel ben Elizer in Polonia nel XVIII secolo. Il viaggio viene scandito in tre tappe: il racconto, il canto e l’umorismo: le tre espressioni tipicamente ebraiche per rappresentare il mondo.
“Noi essere umani non siamo degli esseri materiali che fanno un’esperienza spirituale. Noi siamo degli esseri spirituali che fanno un’esperienza materiale.” Da questa frase di Teilhard de Chardin, incisa sull’ingresso della sinagoga di New York, che colpisce l’autore dello spettacolo in modo folgorante, si innesca un cammino a ritroso che lo riporta a quel mondo senza tempo di “strani rabbini ed ebrei, con le grandi barbe, con i boccoli alle tempie, con le frange rituali che escono dai pantaloni…quegli ebrai che Marc Chagall dipingeva volanti, sui tetti (…); un mondo di gente sospesa tra cielo e terra, un mondo di esseri umani che vivevano con Dio, litigavano con Dio, dormivano, si svegliavano con Dio, erano anche capaci di dire che Dio non esisteva, però con Dio”.
Solo sul palcoscenico, Moni Ovadia affabula con le parole, ipnotizza con il canto, diverte con aneddoti dal gusto satirico, citando Kafka, Abraham Joshua Heschel, attingendo anche ad un repertorio personale e contemporaneo che spazia dalle sculture sonore di Pinuccio Sciola alla voce estasiante di Suor Marie Keyrouz. Si assiste a quasi due ore di spettacolo, che attualizzano una spiritualità apparentemente perduta e celebrano l’autenticità dell’uomo che emerge dalla sua estrema fragilità.
Ovadia insiste sul rapporto tra religiosità e agnosticismo, una contraddizione solo apparente ma che costituisce le radici stesse della sua identità: ebraismo e marxismo. Questo dualismo, non fondato su un aut-aut ma sull’et-et, emerge dai racconti e dalla tradizione del Khassidismo, che arriva il paradosso di mettere in discussione il divino.
Ovadia cita Martin Buber, a proposito dell’ateismo: “Anch’esso ha la sua elevazione nell’atto di pietà. Poichè quando uno viene da te e ti chiede aiuto, allora tu non devi piamente raccomandargli: abbi fiducia e affida la tua pena a Dio, ma devi agire come se non ci fosse Dio, come se in tutto il mondo ci fosse uno solo che può aiutare quell’uomo, tu solo”.
Valentina Giordano e Luigi Metropoli
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