Il Cinema. Il grande amore di Martin Scorsese. E il suo Hugo Cabret è prima di ogni altra cosa un’appassionata dichiarazione d’amore al Cinema, ai suoi albori, ai suoi pionieri, alla sua magica poesia, ai meravigliosi incantesimi che sa creare.

Scorsese canta il suo inno a questo incanto continuo e il film, a più strati di lettura, contiene tutto, dalla lezione delle origini al monito al restauro e alla conservazione delle pellicole, lavoro che lo impegna da una vita. Fino a dimostrare che ancora tanto si può inventare e creare: e dunque il 3D, troppo spesso inutilmente utilizzato solo come richiamo commerciale, diviene nelle sue mani una cosa meravigliosa, una magia nuova e stupefacente, perché raramente si è visto un uso del 3D tanto suggestivo e spettacolare.
Stupisce anche, ad un primo momento, che Martin Scorsese si sia abbandonato a raccontare una favola e a realizzare un film per ragazzi (o – meglio – per famiglie, come lui stesso specifica) dopo che abbiamo tante volte associato il suo nome ai ritmi incalzanti e alle nere atmosfere del genere gangster, di cui è cantore per eccellenza. Ma sappiamo anche che Scorsese è inventore mai stanco e mai sazio e trova qui un nuovo modo di raccontare. Le tematiche di questa favola, poi, come abbiamo inizialmente detto, sono tutte nelle sue corde e nella graphic novel di Brian Selznick (discendente dello storico produttore David Selznick: ancora il Cinema!), “The Invention of Hugo Cabret” ha trovato il materiale ideale.
In una Parigi Anni Trenta, il piccolo Hugo Cabret, riparatore di orologi, si nasconde nella caotica folla della stazione ferroviaria e nei suoi meandri. Vuole riportare in funzione un automa, impresa a cui il padre stava lavorando prima di morire, ed è convinto che l’automa gli consegnerà un suo messaggio. Questa ricerca che lo ossessiona lo porterà a scoprire la più grande magia, il Cinema, e il suo potere di creare sogni.
Tutto il film (in testa alle candidature agli Oscar con 11 nomination) è un caleidoscopio di colori che dal pittoresco e caotico mondo della stazione presidiata dalla guardia Sacha Baron Cohen (dove anche Scorsese e Selznick si mescolano alle comparse) si proietta in un vortice di omaggi cinefili, dalle straordinarie magie cinematografiche di George Méliès che sono il cuore del film alle acrobazie di Harold Lloyd. C’è l’incidente ferroviario immortalato nella celeberrima foto del treno che sventra la stazione e c’è lo stupore dei trucchi di un mago che nei suoi studios aveva creato dei capolavori all’avanguardia ed era poi stato condannato all’oblio.
Il mondo di Hugo Cabret, un labirinto di congegni, i suoi ticchettanti meccanismi da riparare, il suo automa che aspetta nuova vita, è un mondo di giocattoli in attesa di altri miracoli, così come tutti i film degni di appartenere al Cinema vero, per portarci a vivere all’interno di una favola.
Peccato solo che con tanto da voler dire e dimostrare e con tanto con cui sorprendere, la poesia un poco si raffreddi. Ma come nel Viaggio nella Luna di Méliès anche il viaggio di Hugo Cabret è una corsa tra effetti scenografici ed evocazioni di sogni.

Gabriella Aguzzi
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