In concorso alla settantaduesima Mostra del Cinema di Venezia il film “Per amor vostro” di Giuseppe M. Gaudino racconta di Anna, un’anima fragile e dallo spirito remissivo che, prigioniera dei doveri familiari e dei tre figli, cerca di ritrovare se stessa e di riscattare la libertà perduta da tempo immemore.

Ormai abituata a vivere in maniera grigia e scolorita la propria esistenza, tra un marito legato alla criminalità e una convivenza forzata, non ricorda più di essere la bambina spavalda e curiosa qual era. Fino a quando un nuovo lavoro in uno studio televisivo e il calore di una amore nascente le donano la possibilità di affacciarsi nuovamente alla vita.

La pellicola, dal linguaggio a tratti onirico ed evocativo, è ambientata in una Napoli d’incanti e malavita, di demoni e paesaggi assolati ed è forse, a parer mio, il film più potente e più sincero che sia stato proiettato al Festival.
“Il progetto di questo film” afferma il regista “raccontato attraverso realtà visive appartenenti alla cultura mediterranea e ad alcuni sui riti inconsueti, si sviluppa su più piani.
Il legante è la sensibilità di una donna, Anna, che vive tutto in prima persona. E’ tutto visto attraverso la soggettività. Nulla accade “fuori scena”. Persino il paesaggio è visto, interpretato, dal suo sguardo, come un oracolo quotidiano che lei deve decifrare. Un oracolo che la suggestiona e la condiziona.
La sua realtà “esterna” però è fatta di eventi concreti, ineluttabili, che si presentano in un crescendo drammatico, duro. Anna lotta per affrontare tutto questo con l’atteggiamento di una eroina.
Un’eroina che ritrova via via il coraggio, in un incessante dialogo con i suoi sentimenti. Finalmente in contatto con la parte più vitale di se stessa.
Accanto ad un livello che racconta gli accadimenti travolgenti di questo momento particolare della sua vita, affiorano da un livello profondo, senza tempo, miti e suggestioni legati all’Ade e al mondo infero. Ma niente in fondo di spaventoso o morboso o decadente: casomai legato in modo buffo, ironico e tenero alla quotidianità, come solo i napoletani con grazia e poesia sanno fare.
Questi diversi livelli permettono una libertà di associazione emotiva e trasversale nella narrazione visiva, che può dare enfasi, forza la racconto, pur non rinunciando all’affabulazione e a a una struttura principale lineare.
Perciò nel film ci sono grandi contrasti, luce accecante, cieli e paesaggi solari, ma anche ombra. Un’ombra cupa e profonda che dal sottosuolo alimenta e mette in risalto la forza della luce.
Napoli, la città che accoglie la nostra storia, è infatti una metropoli che si sviluppa su due livelli: quello sotterraneo pieno di catacombe, cimiteri, ipogei; e quello esterno, agitato da una rara vitalità.
Parte della sua “forza” viene da queste misteriose viscere che si estendono dal cimiero delle Fontanelle, sotto la collina di Capodimonte, a tutto il Rione Sanità, dalla chiesa del Purgatorio ad Arco fino alle catacombe di San Gaudioso. Un’estesa città sotterranea, speculare a quella abitata dai vivi, ma non per questo meno “popolata”: lì infatti si nascondono migliaia e migliaia di scheletri e di resti di gente senza nome morta a causa di pestilenze o perché in carcere o perché troppo povera per avere sepoltura.
Non a caso uno dei riti “raccontati” nel film è quello delle povere anime “pezzentelle”, anch’esso, come il “volo dell’Angelo” della bambina, di grande impatto visivo, commovente nella sua capacità di sopravvivere attraverso i secoli.
Ed è tra il cielo da cartolina che si distende sopra il Golfo di Napoli e il Vesuvio e il magmatico ribollire dei suoi sotterranei, tra l’aria e le viscere della città, che la nostra protagonista, Anna, combatte per tentare di ricucire qualcosa di prezioso prima che vada perduto”.
Il film, prodotto da Buena Onda, Eskimo e Minerva Pictures, tra le altre, verrà distribuito da Officine Ubu ed uscirà nella sale italiane il 17 settembre 2015.

 

Valentina Giordano
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