Ho sempre pensato che si potesse trattare di argomenti “seri”, drammatici, impegnativi, anche con il sorriso sulle labbra e quindi, perché no, anche della mafia. L’approccio può sembrare offensivo nei confronti delle tante vittime della organizzazione criminale più famosa del mondo, ma coglie l’obiettivo, importantissimo, di metterla a nudo, di ridicolizzarla, di metterne in luce la banalità di motivazioni e di ideali.
Molte, troppe volte, i criminali sono mitizzati, le loro gesta più atroci presentate come delle eroiche vendette necessarie per colpire “l’infame”, il “traditore”, “l’ingrato”. Ne La mafia uccide solo d’estate le motivazioni non hanno bei vestiti di sorta e le atrocità sono atrocità e basta, per di più ordite da persone di nessuna statura morale e di profonda ignoranza.
Con la semplicità di una commedia, il bel film di Pif riesce a sintetizzare più di 40 anni di delitti mafiosi e darci un ritratto essenziale ma efficace di vittime e carnefici, compresi gli uomini che nelle altissime sfere politiche di questo Paese, in qualche modo li fiancheggiavano. Non ricordo di aver visto un documentario sull’argomento più efficace e più valido dal punto di vista puramente didattico.
La vicenda sentimentale è sì il pretesto narrativo per affrontare il tema mafioso, ma non si ha mai la sensazione che sia su un corpo estraneo rispetto a quest’ultimo. La storia d’amore si intreccia strettamente alle vicende mafiose, si interrompe, affonda e riprende vigore anche “grazie” alla consapevolezza che i protagonisti hanno di quelle.
Il film copre l’arco di diversi anni. Inizia tra i banchi di scuola, quando il protagonista, Arturo, innamorato perso di una sua compagna di classe (Flora), fa dei goffi tentativi di conquistarla. Questo capitolo del film è molto tenero, trae la propria forza dai piccoli attori, bravissimi e molto espressivi. E’ anche interessante il ritratto psicologico di Arturo, un ragazzino che proprio non riesce ad amologarsi e a rassegnarsi a convivere con la mafia. Certo, inizialmente è un po’ confuso. Il suo idolo non è – come quasi sempre accade a quell’età – uno dei tanti calciatori famosi, ma nientepopodimeno che l’onorevole Giulio Andreotti. Devo ammettere che questa circostanza è stata una delle cose che più mi ha incuriosito del film. Molti la ritengono inverosimile ma a me è sembrata fin troppo realistica e questo perché, come in un flashback, mi è scattato il ricordo di un lungo viaggio in treno, fatto molti anni fa, assieme alla occasionale compagnia proprio di un ragazzino che era un vero “fan” di Andreotti del quale, proprio come il protagonista del film, esponeva dei ritratti nella sua camera da letto. Ricordo che per ingannare le lunge ore di viaggio mi divertii a sottoporlo ad ogni sorta di quiz, anche i più inverosimili, sulla vita del suo amato politico. Ebbene sapeva tutto, i periodi in cui aveva ricoperto il ruolo di Presidente del Consiglio, quelli nei quali gli era stato affidato un certo minitero, l’intero albero genealogico, la vita privata, ecc. ecc..
Sarà necessario che il mito crolli davanti a delle evidenti contraddizioni, perché il protagonista esca dalla fanciullezza e diventi maturo. Ma a questa svolta della sua vita Flora non sarà presente. Rappresenterà, anzi, il momento di maggiore distacco tra i due perché lei ha una assoluta fede in una parte politica che predica bene ma razzola male. E solo quando anche lei sarà capace di osservare la realtà con occhi aperti e critici, i due potranno finalmente incontrarsi.
Il momento più emblematico del film è la ricostruzione – toccante – di quello che accadde a Palermo durante il funerale di Stato per i 5 agenti di scorta periti con Paolo Borsellino (i familiari di quest’ultimo optarono – in segno di evidente di protesta verso uno Stato che non aveva saputo proteggere il proprio congiunto – per un funerale privato): indignati dalla strage appena compiuta, i palermitani ruppero il cordone dei poliziotti e si riappropriarono di una piazza che sentivano di meritare più delle personalità che la stavano occupando. Spintonando i politici presenti (ma anche il Presidente della Repubblica e lo stesso Capo della polizia) li costrinsero ad un affannoso ripiegamento al grido di “Fuori la mafia dallo Stato, fuori la mafia dallo Stato!”.
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