Una donna che per mezzo secolo cerca un figlio perduto. Un giornalista inglese, caduto in disgrazia, che cerca una storia vera da raccontare.  Philomena, di Steven Frears non è solo la commovente storia di una maternità spezzata, ma anche il racconto di un incontro sorprendente.

Rimasta incinta da adolescente nell’Irlanda puritana degli anni ’50, Philomena viene prima ripudiata dalla famiglia e  poi chiusa in un convento di suore. Qui le viene imposto di  rinunciare ad ogni diritto sul suo bambino che viene dato in adozione (dietro lauto compenso) ad una ricca famiglia americana. Philomena, che vede andare via il suo bimbo senza nemmeno il conforto di un ultimo abbraccio, non smetterà mai di cercarlo. Ispirato al libro “The lost Child of Philomena Lee”, di Martin Sixsmith, il film di Steven Frears ha, tra l’altro, il merito di portarci a conoscenza di una realtà ignota ai più: quella delle tantissime ragazze irlandesi che negli anni ’50 vennero private di figli dei quali persero completamente le tracce, complice l’omertà di una Chiesa cattolica che, facendo leva sul proprio potere di prevaricazione e sulla capacità di alimentare imperituri sensi di colpa, ha lucrato sulla disperazione di tante giovani in difficoltà e senza prospettive. In Philomena Frears mette a frutto le sue doti di narratore, costruendo un racconto impeccabile e avvincente. Dominano lo schermo i due protagonisti: l’immensa Judi Dench e Steve Coogan, nei panni di Martin, bravissimo nel tenere testa ad una delle grandi signore della cinematografia mondiale. Uno degli aspetti più avvincenti del film sta infatti proprio nel confronto tra i due. Martin è un uomo cinico, agnostico, amareggiato, ormai incapace di credere nella bontà della natura umana, della quale ha sperimentato, anzi, a sue spese, il lato più infido. Philomena è una donna semplice, priva di cultura, ma dotata di quella luce del cuore che le consente ancora, nonostante i torti subiti, di esercitare la compassione e il perdono e perfino di credere in Dio, profondamente, riuscendo a distinguere la vera fede dalla malvagità di chi ne ha fatto uno strumento di potere e di prevaricazione.

Splendido.

Gloria Bondi
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