Tre donne che potrebbero essere una sola, una figlia, una moglie, una madre: Ifigenia, Alcesti, Medea, in una riscrittura nella quale si incontrano e per la prima volta dialogano. La tragedia irrompe attraverso queste voci, che si fanno exempla. Tre modi di essere nel mondo, tre esperienze accumunate da un unico atto, il sacrificio.
“Solo di me. Se non fossi stata Ifigenia sarei Alcesti o Medea” è il testo di Francesca Garolla che il regista Renzo Martinelli porterà in scena dal 14 al 25 maggio presso il Teatro i di Milano per le interpretazioni di Anna Della Rosa, Paola Tintinelli e Anahì Traversi
Se è vero che l’uomo è animale sociale e che, in particolare, le donne sembrano definirsi meglio in relazione all’altro, in qualità di figlia di, compagna di o madre di – cosa non vera per il cosiddetto maschio, fiero e certo del suo posizionamento nel mondo – è pur vero che rimane costante la ricerca di una autonoma affermazione di sé.
Ifigenia cerca nella morte per mano paterna la possibilità di diventare eroina, Alcesti trova nella rinuncia a se stessa la possibilità di essere santa e Medea, con l’omicidio dei figli, può farsi dea, che decide di vita e di morte. Al di là dell’essere per qualcuno o per qualcosa, le donne desiderano essere, semplicemente.
C’è qualcosa di ridondante e misterioso in tutte quelle riflessioni che hanno come fulcro la femminilità che, non a caso, è stata centro e motore di ampia letteratura e saggistica, poesia e teatro. Se le donne sono state spesso in minoranza nel tentativo di realizzare la loro potenzialità creativa altrettanto spesso sono state protagoniste epocali e indiscusse dell’arte di altri. I personaggi femminili segnano il tempo in cui nascono, da Tolstoij a Flaubert, uno stuolo di donne ha riempito lo spazio scenico, le librerie e la nostra memoria di lettori e spettatori. Se con difficoltà hanno conquistato il loro essere soggetto nella realtà, le donne, con estrema e complementare facilità, sono state oggetto principe della fiction.
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