Come d’abitudine, quando, stravaccato davanti alla TV, mi accorgo di un nuovo episodio del Commissario Montalbano, smetto di fare zapping e mi predispongo, anzi mi “ben dispongo” alla visione di qualcosa di familiare nei personaggi, nel paesaggio e nelle trame. La predisposizione quindi è di quelle giusta, aspettandomi di trascorrere un paio di piacevoli ore in compagnia di personaggi e di paesaggi ormai familiari.

Ma dopo una mezz’ora le palpebre mi diventano pesanti, l’audio sfuma e devo faticar non poco per tenermi sveglio. Possibile? Eppure si tratta poi di un giallo! Impossibile annoiarsi, forse sarò stanco. Ma quando la stessa cosa mi capita anche al secondo episodio allora capisco che qualcosa deve essere successo alla serie TV più acclamata d’Italia. E ad una visione più attenta riesco anche a capire il perché.
A parte la ingiustificata lunghezza degli episodi, c’è un atmosfera generale rarefatta, quasi pesante: i personaggi si muovono in un paesaggio bello ma spettrale, non c’è mai nessuno e dico nessuno nelle strade della cittadina di Montalbano, mai un passante che passasse appunto per sbaglio. Anche a mezzogiorno la strada assolata del commissariato, che pure deve essere una delle principali del paese, è deserta. A passeggio ci sono al massimo alcuni poliziotti. Ma dove esercita il suo mestiere il Commissario Montalbano, in una città abbandonata? Saranno andati tutti a mare? Macchè! Anche spostandosi sulla strada costiera piena di abitazioni strette le une alle altre come soldatini sull’attenti nel cortile di una caserma, le cose non cambiano. Di vivi ci sono solo i protagonisti, mai nessun’ altro. Girano gli episodi, all’alba? Deportano la cittadinanza altrove durante le riprese?
Un assoluto mistero. Del quale nemmeno si capisce il motivo perché solitamente qualche si lascia sempre sullo sfondo qualche comparsa che renda l’idea di un qualche segno di vita oltre quella dei personaggi della vicenda.
Poi ci sono le gag ripetute, abusate direi, dei e tra i protagonisti. Diventano così quasi insopportabili le gag di Catarella che sbatte sulla porta dell’ufficio del Commissario in modo del tutto artificioso e irrealistico, i consueti insulti tra Montalbano e il medico pronunciati senza nessuna convinzione dagli stessi protagonisti, le ripetute sviolinate paesaggistiche e culinarie. Insomma è tutto “troppo” in questi episodi. Non c’è più moderazione e il troppo storpia e diventa controproducente.
Anche le tessiture della trama fanno acqua da tutte le parti. Ma ti pare che il vice commissario Augello – ormai noto più per essere un playboy che un investigatore, possa adescare tutte le belle donne della zona spacciandosi di volta in volta per un personaggio differente (un avvocato nell’ultimo episodio)? Solitamente in un paese piccolo come Vigata (Scicli nella realtà), Commissario e Vice sono personaggi pubblici molto in vista ed è difficile che la gente del posto non li conosca. Insomma è piuttosto irrealistico che il vice commissario possa spacciarsi per qualcun altro ed avere la botta di culo di non essere mai riconosciuto.
E poi le coincidenze fortuite! Una mi ha particolarmente impressionato. In un degli ultimi episodi, “Il gioco degli specchi”, il Commissario Montalbano sta andando a cena dalla solita bellona di turno. Guarda caso, un minuto prima di lasciare l’abitazione per andare all’appuntamento, Montalbano riceve una telefonata di questo tipo: “Mi hanno fatto una soffiata. Mi hanno detto che un giornale ha mandato un fotografo per un servizio scandalistico nel tuo paese. Siccome tu sei il solo personaggio famoso lì, ho pensato di avvertirti.” Ancora un classico della serie “che culo”. Ed infatti sul posto il commissario, ormai sul chi va là, si accorge che il paparazzo è appostato sulla spiaggia.

Ma la debolezza della sceneggiatura è stata particolarmente evidente nell’ultimo episodio che ho visto, una lama di luce.  Livia, la ragazza di Montalbano, arrivata da Genova dichiara i sintomi della più tipica delle depressioni. Chi non ha letto il libro non può che pensare a questo: ‘poverina, è depressa” perché non si rivolga ad un medico? Solo al termine dell’episodio e con un certo sforzo di immaginazione, comprendiamo il senso di quel malessere: viene assassinato un ragazzo (conosciuto in un altro libro e in un altro episodio televisivo) al quale era molto legata, una sorta di figlio mancato. Naturalmente chi si era persa la puntata precedente non ha modo di capirlo. Il pianto e la disperazione di Livia di fronte al ragazzo sono incomprensibili. Si capisce che si tratta di una persona alla quale era legata ma quando l’abbia conosciuta e perché gli fosse cara non è dato di saperlo. Eppure la lunghezza degli episodi sarebbe più che sufficiente per fornire qualche elemento in più allo spettatore. Alla luce di questo finale ecco allora il senso del malessere di Livia: la premonizione della  morte di una persona cara. Non una depressione ma la sensazione di qualcosa di incombente e di negativo che stava per accadere. Se questo stato d’animo fosse stato descritto in modo più adeguato l’episodio ne avrebbe tratto giovamento.

Mi dispiace fare queste osservazioni perché i primi episodi TV tratti dai libri di Camilleri erano piacevoli e ben costruiti ma, si sa, le critiche se ben capitalizzate, possono essere costruttive. E questa intende esserlo.

Antonello Lotronto
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