La vicenda di Edipo, il “piede gonfio” secondo etimologia, affascina da sempre uno spettatore sensibile. Il suo destino infausto, la tragicità degli eventi in cui precipita sembrano manifestare la verità ultima sull’esistenza non tanto dell’uomo medio, ma dell’uomo in quanto tale.
Di colui che sta a metà tra gli dei e la vita terrena, che incarna la massima essenza del dolore, che si fa sovrumano e cieco, per necessità.
La splendida messa in scena dell’omonima pièce al Piccolo Teatro Strehler a Milano evidenzia proprio questo, nella rappresentazione di Antonio Calenda, che potenzia al massimo il famoso testo sofocleo.
Nonostante non abbia apprezzato appieno la recitazione tecnica del noto Franco Branciaroli che, a parer mio, lascia a margine il pathos necessario e richiesto ad una interpretazione più drammatica del personaggio di Edipo, al regista va, infatti, il merito di aver saputo ricreare uno spazio sorprendentemente mitologico e psicologico insieme.
Grazie al sapiente uso dello sfondo, che a tratti si illumina e ripropone, con diverse composizioni del Coro, affreschi e dipinti del ‘600, raffiguranti immagini di violenza e peste. O anche, e soprattutto, per mezzo dell’apparizione sul palco del famoso lettino di Freud e del doppio di Edipo, cui il protagonista continua ad appellarsi e a rivolgersi, nel tentativo di sbrogliare la matassa del suo inconscio.
Con pochi elementi viene reso evidente di come Edipo, simbolo di una precarietà antecedente eppure odierna, confermi la problematicità dell’essere più profondo e autentico: quello che, spesso, si cerca di negare.
La sua moralità viene analizzata da uno pseudo-terapeuta e da se stesso, dal singolo spettatore ma anche dall’intera agorà, quale il pubblico.
E così, quasi senza saperlo, si diventa testimoni di un monologo interiore, che include, nel personaggio di Edipo, anche Tiresia, l’indovino, e Giocasta, moglie e madre del protagonista, interpretati, secondo un’intuizione folgorante, dal medesimo attore.
L’Edipo di Calenda si conferma essere sì antico uccisore del padre e il figlio incestuoso maledetto dalle divinità dell’Olimpo, colpevole pur senza colpa, ma è anche unico portatore di una nuovo umanesimo che, però, sembra ancora in quest’epoca, in maniera beffarda, non esser compreso in piena luce.
Teatro Strehler di Milano, dal 13 al 30 aprile 2010, Largo Greppi, tel. 848800304. Autore: Sofoclie; Regia: Antonio Calenda; Traduzione: Raul Montanari; Con: Franco Branciaroli e G. Cortesi, E. Fortunati, G. Quero; Scene: P.P Bisleri; Costumi: Stefano Nicolao; Musiche: G. Mazzocchetti; Luci: Gigi Saccomandi
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