Francia 1682. Luigi XIV e la sua corte stanno per trasferirsi a Versailles in quello che è stato pensato come un paradiso terrestre, un microcosmo iperbolico ed edonista dal quale tenere alla larga la volgarità della miseria e della povertà (ma non altre miserie umane come il tradimento, la maldicenza, l’egoismo, la superficialità). Così a Versailles fervono i preparativi e una parte importante del gigantesco cantiere sono senza dubbio i giardini, affidati all’arte di André le Notre.
Contro ogni previsione il placido, equilibrato artista sceglie di affidare la realizzazione della Sala da Ballo all’aperto, chiamata anche il Boschetto delle Rocailles, a una donna. Trattasi di Sabine De Barra, che sarà capace di portare la conturbante bellezza del caos non solo nella perfezione classica dei giardini imperiali, ma anche negli spietati formalismi della corte di Francia e – infine – nel cuore di le Notre.
Peccato che la storia sia totalmente inventata, perché sarebbe stato davvero bello pensare che nella Francia del 1600 una donna, per giunta plebea, fosse riuscita ad affermare il suo estro perfino alla corte del re dove le signore erano di solito ingessate in freddi ruoli istituzionali o relegate a quello di amanti.
Con “Le regole del caos” Alan Rickman vuole raccontare una storia, non molto originale in realtà, di sfida alle convenzioni sociali prima ancora che estetiche. Peccato che lo sviluppo del tema venga appesantito da tanti altri elementi raccontati tutti con registri diversi: la tragedia segreta nel passato di Sabine, la deludente vita coniugale di le Notre, l’infelicità nascosta delle donne di corte, la stanchezza di un re obbligato a vivere pubblicamente perfino il lutto più privato, l’attrazione, infine, tra i due protagonisti.
Un pasticcio? Forse no. Perché il film di Rickman è infine gradevole. Sontuoso nelle scenografie e nei costumi, dotato di una fotografia bellissima e illuminato da alcune interpretazioni davvero rimarchevoli. Tra tutte, quella di Kate Winslet che regala alla sua Sabine una bellezza opulenta e malinconica, sguardi smarriti e poi, subito, slanci che rivelano un’ impetuosa forza di carattere, una passionalità nascosta dietro una gestualità solo in apparenza placida ed essenziale.
Tra gli altri, gradevolissima l’interpretazione di Stanley Tucci, nei panni del fratello del re: personaggio ironico, istrionico e dall’umorismo folgorante, perfetto per mettere a nudo le contraddizioni e le assurdità della corte imperiale.
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