Una notte assoluta, ancestrale è quella che avvolge i personaggi  dell’Otello che Corrado D’Elia porta in scena al Teatro Litta di Milano. Un sogno o un incubo nel quale il male serpeggia, segreto e infido. Si insinua nelle pieghe più nascoste delle menti e delle coscienze. Poi deflagra, trionfa nella violenza inevitabile, nella morte, nel dolore.

D’Elia cura la regia e l’adattamento di una delle opere più potenti di Shakespeare. Una delle più angoscianti, anche. E’ la favola oscura del male assoluto, senza ragione e senza speranza. Quello che può infettare e devastare ogni vita, in ogni momento, a nostra insaputa. E senza possibilità di difesa.

La scena è tutta nera ed essenziale. E’ il buio della non ragione, del non pensiero. Al centro, solo una nicchia e un trono, affilato come una spada, simbolo di un potere tutto maschile, fondato sulla forza e sulla violenza. I personaggi, tranne Desdemona,  sono tutti vestiti di nero. Soldati. Generali. Uomini di guerra. A terra, due tombe d’acqua in cui i protagonisti  si immergono alla ricerca di sollievo o di una vana purificazione. Ma non è il mare di Venezia o di Cipro, piuttosto …  << polle sorgive  – dice il regista – o forse vasche d’acqua putrida. Acque ancestrali in cui i personaggi si immergono in una sorta di amnioticità strana, malvagia, placentica. E l’acqua si mischia all’oscurità come in una grotta. I sentimenti in Otello sono “bagnati”, lasciano addosso qualcosa di cui poi non ci si può liberare. >>. Come del veleno di Iago, del resto, interpretato dallo stesso D’Elia. <<Iago è un diavolo – spiega –  l’unico che parla al pubblico e rivela i suoi piani. Shakespeare ha messo la soggettiva su di lui. E’ il male, la negazione della coscienza. E’ sua la battuta che apre e chiude il dramma “Io non sono quello che sono”. E’ una frase biblica. Nella Bibbia lo dice il diavolo. E’ il simbolo del male. Il non essere. Ma non è intelligente perché non ha motivo. Il male è un non senso. E alla fine ride del suo stesso gioco >>.

Come sempre nelle rappresentazioni di Corrado D’Elia il linguaggio delle immagini è potente, fascinoso e angosciante. Tutto al servizio di quell’indagine dell’animo umano, della creazione di archetipi immortali, che rende immensa l’opera di Shakespeare.

<<Mi piace tornare a Shakespeare – continua Corrado D’Elia – perché quando lo porto in scena sogno. E ogni opera è un sogno diverso. Non è mai una semplice messa in scena. Shakespeare è il più grande drammaturgo mai esistito. Nessuno ha scritto con questa forza. Lo senti subito, brucia, ti colpisce “te nolente”>>.

Ma anche il linguaggio verbale è stato oggetto, come sempre, di un lungo lavoro. <<Parte tutto dalla traduzione – spiega ancora il regista – noi dobbiamo reinventare una lingua e non possiamo farci sfuggire questa occasione. Le parole sono la base del nostro lavoro. Un lavoro condiviso con gli attori. Faccio scegliere a loro le parole che meglio rappresentano i loro personaggi. Poi  raccolgo tutto. I testi hanno un taglio veloce, cinematografico. Ogni scena si attacca all’altra fino a quel punto di non ritorno che arriva ben prima della fine reale. Poi è tutto uno scivolare ineluttabile verso un epilogo che li travolgerà tutti. Nessuno rivedrà la luce>>  

In scena Corrado d’Elia, Alessandro Castellucci, Chiara Salvucci, Gianni Quillico, Giulia Bacchetta, Marco Brambilla, Anna Mazza, Giovanni Carretti, Marco Rodio.

Fino al 15 novembre. Da non perdere.

 

Gloria Bondi
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