Un film che è un pugno nello stomaco, coraggioso e forte, che dipinge l’attuale, amarissima Italia, fondata sulla disoccupazione e preda degli arricchiti senza scrupoli.

 

In un contesto che uccide la buona volontà e le speranze dei giovani, il curioso e ottimista Antonio Pane riesce a stare a galla accettando con un eterno sorriso sulle labbra le briciole che gli altri – quelli fortunati perché possono fare sciopero – gli lasciano per qualche impegno improvviso. Si accontenta di poco Antonio, anzi di niente, e con il filtro della sua ingenuità, il mare di merda che lo circonda gli sembra un prato fiorito. Anche il suo  tremendo datore di lavoro – uno sgradevole camorrista senza scrupoli che lo sfrutta fino al midollo – gli sembra una brava persona, un amico quasi, che lo foraggia di impegni e gli tiene le tasche ben vuote.

Tra tanta miseria l’unica cosa che arricchisce è l’ illegalità: i pochi ricchi che Antonio incrocia nel suo cammino sono  imprenditori del malaffare, gente che lava la propria coscienza assieme alle  giacche e cravatte che indossa tutti i giorni.

Ma se Antonio è corazzato da un ottimismo che lo porta a sorridere anche nelle discese più ripide, non tutti sono come lui, non tutti riescono a sorridere sempre. E molti dei suoi cari soccombono. Alcuni si suicidano, altri devono lottare contro la depressione.

Antonio Pane è al tempo stesso vincitore ma anche vinto. E vincitore perché è felice di quel poco che ha e quindi destabilizza un’esistenza che dovrebbe annientarlo, ma attorno a lui circolano indisturbati i tanti furbetti del quartierino, i tanti imprenditori senza scrupoli che lui non fa nulla per contrastare.  L’immagine che ci regala la proiezione del film è proprio questa: un Italia nelle mani di pochi uomini senza scrupoli e tanti sfruttati che accettano la cosa come se fosse nell’ordine naturale dei fatti. Non possiamo nemmeno parlare di rassegnazione perché quest’ultima presuppone che vi sia la  consapevolezza dell’ingiustizia e della impossibilità di  contrastarla. Quello che emerge nell’Intrepido – questa volta con la I maiuscola per stiamo parlando di lui, Antonio Pane come un simbolo dei tanti nella sua stessa situazione –  è la totale “ineluttabilità” dello stato attuale delle cose. Come osservare l’terno alternarsi del giorno e della notte, il flusso delle stagioni, il bello e il cattivo tempo. Non c’è nessun impegno per il cambiamento, semmai c’è un accenno di ribellione quando il marcio si spinge fino alla pedofilia. Ma è solo un momento. Poi tutto si acquieta. “Non chiedo di essere pagato sempre. Solo qualche volta”. Dice al suo “padrone” . E questo mentre, qualche fotogramma più tardi, una inappuntabile signora inanellata e ben vestita chiude mazzette di banconote spuntate dal nulla in una capiente valigia per portarle chissà dove.