Questa maledetta crisi, a lungo negata, non solo è ormai alla ribalta delle cronache, ma sbarca anche, finalmente, al cinema, in questo bel film di Giuliano Montaldo. La storia potrebbe essere tratta da un quotidiano qualsiasi di questi giorni. Un imprenditore, Nicola, si trova nei guai. Rischia di dover chiudere la fabbrica ereditata dal padre, un ex operaio, perché le commesse vanno via via riducendosi, le banche sono restie a concedere nuovi crediti, le aziende che potrebbero ricapitalizzare l’impresa tentano di trarre profitto dalla situazione.
Davanti a queste prospettive fosche, Nicola comincia a dare i numeri. Non meno confusa è la moglie, per cui alla precarietà lavorativa si aggiunge una precarietà degli affetti. Una situazione che le nuove generazioni conoscono fin troppo bene! Sullo sfondo una Torino stretta dalla crisi, animata soltanto da lavoratori e studenti in protesta, le cui strade sono quasi vuote. Poche le macchine che circolano, mentre scorrono ai lati delle strade capannoni industriali abbandonati od occupati. Uno scenario apocalittico, reso ancora più angosciante da una fotografia (Arnaldo Catinari) ‘livida’, dove le immagini perdono colore fino a sconfinare nel bianco e nero, assumendo tonalità fredde, metalliche. La storia, nata da un soggetto di Giuliano Montaldo e della moglie Vera Pescarolo, è stata poi sceneggiata dal regista e da Andrea Purgatori.
Proprio per la tendenza del cinema italiano e preferire temi più leggeri, nella convinzione che la gente abbia più voglia di ridere e di dimenticare che di vedere sullo schermo le proprie tragedie, questa pellicola ha un certo impatto sullo spettatore. Un plauso va alla recitazione di Favino, che sfodera per l’occasione una fastidiosa calata torinese, e alla bellezza algida della Crescentini, perfetta per questo ruolo. La Crescentini confessa in conferenza stampa di aver dovuto sospendere il giudizio morale su questa donna, prima di riuscire ad interpretarla propriamente. Favino sostiene quasi integralmente il film, sprigionando un’energia talmente forte che non meraviglia come collezioni ruoli su ruoli. La sua intensità lo rende uno degli attori maschili più credibili, tra quelli a disposizione in Italia oggi.
Montaldo , invece, sorprende e commuove quando spiega quanto sia difficile fare cinema in italia, trovare i finanziamenti per progetti ‘impegnati’, e che per questo motivo si è dedicato per diciotto anni alla regia di opere liriche.
Unico neo, un punto nella sceneggiatura. La disperazione ritratta è ancora troppo distante da quella che percepiamo nella realtà. Aver confezionato alle spalle di Nicola una famiglia molto abbiente, e ricondotto le sue difficoltà all’orgoglio che gli impedisce di rivolgersi per un aiuto ai congiunti (peraltro molto sprezzanti e superficiali) rende la sua disperazione molto meno ‘nera’ di quella della maggior parte degli imprenditori che è poi giunta a gesti estremi. Siamo ancora nell’ambito di un’area iperprivilegiata e pertanto non ci muoviamo ancora nei recessi più bui delle emozioni umane. La direzione è giusta, è questo il cinema italiano che piace e interessa, ma occorre ancora più coraggio.
Ultima menzione va alla musica potente e di alto livello di Andrea Morricone.
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