Quale incubo peggiore per un attore se non dimenticare le battute o essere trascinati in una commedia di cui non sa assolutamente nulla? Un po’ come l’eterno esame di maturità che sempre si riaffaccia nei misteriosi itinerari dell’inconscio notturno. Ecco, quindi, il protagonista, il signor Zeta (alter ego di Sergio Zecca protagonista, autore e regista di Buonanotte e incubi d’oro), catapultato da una commedia di Pinter che sta provando, nell’Amleto di Shakespeare, in Finale di partita di Beckett e in Private lives di Noel Coward, testi di cui non sa e non ricorda neanche una battuta. A questo punto il meccanismo comico è ovvio: un hellzapoppin di situazioni assurde di scambi tra cifra tragica e comica, di sfasature temporali con predilezione per il vintage che si sussegue per un’ora e mezza senza pausa. Tedofori dell’incubo sono due investigatori pazzi e sconclusionati che occhieggiano alla comicità surreale alla Gaspare e Zuzzurro o, per i più attempati, alla fratelli Santanastasio. Non a caso, il malcapitato signor Zeta per uscire dalla situazione invoca la coppia regina della comicità italiana anni sessanta – settanta: Franco e il suo sodale Ciccio. Se il personaggio di Zecca è il “protagonista” della assoluto della pièce va detto che gli attori che si avvicendano sulla scena attorno ai suoi incubi lo supportano bene con ritmo e scioltezza: Francesca Bellucci, Matteo Cirillo, Bernardino De Bernardis, Christian Galizia, Vania Lai, Antonio Stregapede, Marzia Turcato. Lo spettacolo già presentato anni fa, non ha perso smalto confermando che i meccanismi della comicità non sono soggetti, quando ben posseduti e curati, all’usura del tempo. Al Teatro Sette di Roma fino al 13 marzo.
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