“Un guscio vuoto”…. ecco l’immagine con cui si potrebbe riassumere la personalità di Leone Gala, il protagonista, allo stesso tempo prigioniero e secondino, del carcere formale pirandelliano ne ” il Giuoco delle Parti”.

La pièce, scritta nel 1918, è stata riadattata da Egisto Marcucci, tornato dopo essere stato lontano dalle scene a causa di un grave incidente, ed è in calendario al teatro Carcano  di Milano dal 13 al 24 gennaio, con la regia di Elisabetta Courir collaboratrice abituale dello stesso Marcucci.

Silia (Marianella Bargilli) e Leone (Geppy Gleijeses), sono una coppia sposata con un accordo di separazione non ufficializzato, che consiste nel vivere in dimore differenti ma con l’obbligo di vedersi mezz’ora ogni giorno. Il primo atto si apre infatti con Silia che, in compagnia dell’amante Guido Venanzi (Leandro Amato), discute del rapporto che intercorre tra loro esternando la sua repressa necessità di vivere e poter dare sfogo alle proprie passioni, mentre attende la visita del marito come ogni giorno, il quale però si limita di solito a fermarsi sul portone d’entrata e a chiedere alla governante Clara (Giorgia Morese) se vi sia qualcosa di nuovo, per poi andarsene.

Silia è però intenzionata, questa volta, a far salire il marito per far sì che si incontri con il suo amante, sperando che ciò scateni la gelosia del consorte, infatti all’arrivo di Leone ella lascia solo Guido ad attenderlo, andando a nascondersi in un’altra stanza.

L’incontro non ha l’effetto sperato scatenando l’ira della donna, profondamente sconvolta dalla freddezza calcolatrice di Leone che come un abile manipolatore asseconda i desideri di tutti ma senza lasciarsi andare ad alcuna emozione, perché lui il giuoco l’ha capito, sa come condurre la partita, e con mosse degne di un campione di scacchi controlla le vite degli altri ed in particolare stringe attorno a Silia una morsa invisibile.

Il secondo atto si svolge interamente a casa di Leone, una dimora fredda, asettica e minimale, dominata da un bianco che ricorda a tratti la stanza bianca in cui viene rinchiuso l’Alex di “Arancia meccanica”.

 Silia  riesce a convincere il marito a battersi per lei in un duello d’onore, in quanto un gruppo di avventori, capitanati dal marchesino Miglioriti (Ferruccio Ferrante), scambiandola per una  prostituta le sono piombati in casa ubriachi e l’hanno oltraggiata.

Leone ha accettato lo scontro perché il ruolo di marito gli impone di riscattare il torto subito dalla moglie e, mentre si prepara a modo suo ad affrontare il Miglioriti, la migliore lama della città, assistiamo allo sfilare di altri personaggi, amici e conoscenti del protagonista come il dottor Spiga (Antonio Ferrante), Filippo detto Socrate (Franco Ravera) e l’amico Barelli (Massimo Cimaglia).

Sono tutti intenti a cercare di dissuadere il protagonista dal battersi e gli gravitano intorno come satelliti legati ad una stella ma Leone, astutissimo regista,  riesce a piegare la situazione a suo vantaggio, componendo un puzzle inesorabilmente perfetto ma che condanna egli stesso, essendone anche lui una tessera, al continuo reiterarsi del giuoco delle parti che non potrà che andare avanti all’infinito, sacrificando ciò che di umano c’è in lui, in favore di schemi, regole, ruoli.

Lo spettacolo, anche se sorretto da un testo notevole com’ è nella tradizione di Pirandello, purtroppo non convince sotto diversi aspetti. Gli interpreti non sembrano interagire veramente tra loro, fatta eccezione per la coppia Ferrante-Ravera, in quanto la rigidità formale, soprattutto di Geppy Gleijeses, congela parole e concetti i quali, non supportati da un reale trasporto emotivo, non colpiscono lo spettatore.

La regia è priva di ritmo, si percepisce la simmetricità del posizionamento di attori e scenografie che dovrebbero trasmettere quella schematicità delle regole propria di qualsiasi gioco, ma questo non basta, in quanto l’attenzione non viene incanalata da soluzioni di messa in scena tout court. In più l’aspetto meta teatrale tipico delle opere pirandelliane è appena accennato, con una fila di sedie vuote di fronte alla scena dove si svolge l’azione, simboleggianti una dichiarazione di un pubblico che però non viene mai fatto interagire.

Una lancia va spezzata però in favore del disegno luci a cura di Luigi Ascione, che con giochi di luce  riesce a scandire il susseguirsi delle scene, e con variazioni cromatiche interessanti accresce la caratterizzazione dei personaggi.

In generale purtroppo si assiste ad una rappresentazione che non convince e non emoziona, e dove forse gli applausi finali, più che essere sentiti, fanno parte del giuoco delle parti.


Produzione: Teatro Stabile di Calabria; Progetto e Drammaturgia: Egisto Marcucci; Aiuto regia: Valentina Escobar; Scene: Graziano Gregori; Musiche: Matteo D’Amico; Luci: Luigi Ascione; Costumi: Carla Teti;

Regia: Elisabetta Courir

Interpreti: Geppy Gleijeses, Marianella Bargilli, Leandro Amato, Antonio Ferrante, Franco Ravera, Massimo Cimaglia, Ferruccio Ferrante, Francesco Pupa, Francesco Sgrae, Giorgia Morese

Dal 13 al 24 gennaio al Teatro Carcano, corso di Porta Romana, 65,  20122 Milano (MI), tel.02 55181362