Parigi, un’alba come tante. Un uomo giovane e fascinoso esce da una discoteca dopo una notte brava. Accende una sigaretta, indossa il casco, una sciarpa azzurra intorno al collo e, a bordo del suo scooter, va verso casa. La cinepresa lo segue in un lunghissimo piano-sequenza per le strade deserte della capitale francese, nella luce azzurrina che precede il sorgere del sole. C’è silenzio. I semafori regolano imperterriti un traffico inesistente. Poi improvvisamente, un incrocio e un camion gigantesco che travolge l’uomo con lo scooter. Buio.

 

“Piccole bugie tra amici”, il terzo film di Guillaume Canet, inizia così, con un incidente spaventoso. Al capezzale di Ludo, questo il nome dell’uomo, accorrono gli amici di sempre che poi, però, decideranno di lasciarlo per partire per la consueta vacanza a Cape Ferrat, nella villa del più ricco di loro. Qui convivranno per due settimane con le proprie reciproche nevrosi, paure, bugie, segreti e incomprensioni. Ognuno si esprimerà al peggio e poi al meglio, tra coppie in crisi, amori in fuga, furenti egoismi e un segreto di latente omosessualità. Li osserva  l’anziano uomo di mare che ogni anno li aspetta per assisterli nelle loro scorribande marinare, unico personaggio veramente autentico e di cuore in un triste groviglio di bugie e falsità. Su tutto aleggia l’assenza di Ludo, con la sua straripante vitalità. Amato e rimpianto, davanti ai filmini amatoriali delle passate vacanze. Ma morirà solo. E lontano.

In sostanza, un “Grande freddo” alla francese. Un ritratto della generazione dei (più o meno) quarantenni parigini che Canet descrive contraddittori e insinceri, chiusi in un egoismo amaro, incapaci di aprirsi davvero all’amore come all’amicizia e in fondo di crescere davvero.

Canet confeziona un prodotto che sostanzialmente funziona, tenendosi perfettamente in bilico tra cinismo e commozione e chiamando a raccolta i migliori attori francesi della sua generazione tra i quali i premi oscar Marillon Cotillard e Jean Dujardin e il bravo Francois Cluzet, reduce dal successo planetario di “Quasi amici”. Si piange e si ride, con qualche lungaggine di troppo.

Gloria Bondi

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