Moretti racconta Moretti. Attraverso un alter-ego che è regista come lui, ma donna. Impegnata e fragile,  spaesata e solitaria. Moretti racconta Moretti forse come non ha mai fatto prima, in modo spietato e impietoso, senza indulgenze, senza concessioni.  “Mia madre”, il suo ultimo film, è un lavoro doloroso, scarno, asciutto. Il magma emotivo in cui affonda le mani è incandescente,ancor più perché autobiografico,  eppure quel che ne deriva è un film dal quale viene bandito ogni eccesso e ogni accenno di superfluo.

 

Giovanni e Margherita, fratello e sorella, si avvicendano al capezzale della madre che sta morendo. Lui è un ingegnere dolce, attento, estremamente accudente. Lei è una regista impegnata che sta girando un film sulla lotta di classe ai tempi della crisi e guarda la madre spegnersi senza riuscire a trovare una sua dimensione in quel lutto che avanza, senza riuscire a starle veramente accanto. Nel frattempo cerca di portare avanti le riprese, gestisce i capricci di un divo americano, le difficoltà scolastiche della figlia adolescente, la separazione dal suo amante.

Straziante è il viaggio dei due fratelli e soprattutto quel doloroso interrogarsi di Margherita su se stessa, sulla sua capacità di stare accanto agli altri, di amare, di farsi amare. Quello che ne deriva è una analisi profonda e sincera del cuore di una donna che in fondo non riesce a entrare davvero in relazione con nessuno.

Margherita Buy regala al suo personaggio sguardi smarriti, improvvisi scoppi di emotività e quell’attitudine di chi in fondo si sente sempre nel luogo sbagliato, mai a suo agio, sempre ai margini. Moretti è Giovanni. Composto, meticoloso eppure empatico. Essenziale nei gesti e nelle parole. Un uomo che sa vivere il  dolore in modo intimo, privato, senza mai chiedere per sé un briciolo di attenzione, anzi, quasi defilandosi pur rimanendo presente.

John Turturro è il divo americano: umorale, capriccioso, istrionico, eccessivo. Una vera gioia vederlo esplodere nelle mille contraddizioni di un personaggio tanto irritante quanto capace di conquistarci.  Giulia Lazzarini, infine, è la madre. Un personaggio sorprendente. Ex insegnante di latino e greco, capace dopo decenni di coltivare ancora  l’amore dei suo allievi, maestra di vita prima ancora che di studi, tenera e vulnerabile sotto la patina di una cultura e di un’ educazione d’altri tempi. Ha il cuore malato di chi sta andando via e lo sguardo di una bambina che guarda ancora al domani. Nei raccolti dei suo allievi, dopo la morte, Margherita scoprirà una donna a cui ha vissuto accanto senza mai capirla veramente.

“Mia madre” è un film doloroso e vero. Non indulge in facili pietismi, non approfitta di un tema che sarebbe fin troppo facile usare per toccare le corde più profonde del pubblico. E’ lacerante e onesto. In una parola, bello.

Gloria Bondi
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