In scena all’Argot Studio di Roma dal 26 gennaio, per la regia di Tiziano Panici, arriva Kvetch di Steven Berkoff. Kvetch in ebraico significa piagnistei. Berkoff dipinge in modo caustico e graffiante un apparentemente normale quadretto familiare. Scrive l’autore che la commedia è dedicata a chi ha paura, ossia a tutti. Abbiamo paura di ingrassare, di essere stupidi, di non capire una barzelletta, di fallire.
La commedia è costruita su una geometria precisa, che non lascia scampo: i dialoghi, specchio di una scialba quotidianità, sono continuamente interrotti dai pensieri dei personaggi e dai loro monologhi interiori e generano nel pubblico una sorta spaesamento, rivelando quello che è il messaggio più forte del testo: l’umanissima discrepanza fra ciò che si fa e ciò che si vorrebbe fare, e la contraddizione in cui tutti, prima o poi, si cade, quando si ottiene l’opposto di ciò che si aveva prima e si desidera tornare alla situazione precedente. Il plot è piuttosto banale, pressoché inesistente, una storia di letti, di coppie che si disfano e si formano. C’è Franco, marito annoiato e lamentoso, che scopre di essere omosessuale e ha una relazione col suo collega Aldo appena abbandonato dalla moglie; c’è Donna, la moglie frustrata di Franco che ha una relazione con un cliente del marito, Giorgio; c’è la vecchia, imbarazzante e onnipresente suocera. Ma è quello che c’è dietro ad essere interessante: i cinque personaggi si muovono, infatti, su una doppia linea, e lo spettatore ne vede non solo i gesti, ma anche i pensieri. I banali dialoghi sono costantemente interrotti da alcuni brevi monologhi in cui i personaggi finalmente riescono a dar voce alle loro ossessioni. In tal modo Berkoff mostra spietatamente la distanza che esiste tra ciò che un uomo dice e fa e quello che pensa.
Il valore del coraggio si misura in un momento, nell’attimo di una scelta.
Anche il valore di un uomo si misura su quel tempo. Questo è il segreto che Cristo sussurrò nelle orecchie dell’implacabile Ponzio Pilato poco prima della sua condanna. È il coraggio che permette alla verità di esistere. Non esistono uomini coraggiosi per tutta la durata della loro vita. Chi è convinto che esistano o che siano esistiti non è che un violento, sconsiderato criminale. Un codardo. E voi sapete di esserlo? Io sono un codardo. Questo è quello che penso. È quello che pensava Steven Berkoff di sé stesso mentre scriveva questa commedia. Perché da quando ha iniziato il suo difficile percorso artistico come attore, autore e regista, scegliendo le strade più sinistre e pericolose, non ha mai smesso di combattere per affermare il suo pensiero con onestà. Ma cosa resta a un uomo quando viene meno il coraggio? Il rimpianto. È di questo che parla il testo. Lamentarsi con se stessi e con il prossimo. Piangere la sconfitta, quella vera. Non esiste niente di più insopportabile. Piagnistei. Una parola davvero orribile
In scena Ivan Zerbinati, Laura Bussani, Federico Giani, Simone Luglio. Fino al 7 febbraio.
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