Il tormento interiore, il disagio, la solitudine, il genio. Il pittore e scultore Antonio Ligabue, raccontato da Giorgio Diritti, in “Volevo nascondermi”, fu un’anima delicatissima e ferita. Destinata a subire la crudeltà di un mondo ignorante. Confortata dalla benevolenza di pochi. Trovò nell’arte l’unica via per esprimere se stessa in un’esplosione di colori e di forme di tale potenza da travolgere ancora oggi chiunque abbia l’opportunità di ammirare le sue opere. Soprattutto dal vivo. Elio Germano, nei panni del tormentato pittore, ci regala una prova d’attore straordinaria che, giustamente, gli è stata riconosciuta con l’Orso d’argento all’ultimo Festival di Berlino. Violento e disperato, tenero e furente, Germano è straordinario nella resa anche fisica di Ligabue, nel ricostruire il modo che il pittore aveva di occupare lo spazio, muoversi, manifestare il suo inferno interiore attraverso i gesti, gli sguardi, i suoni e le (pochissime) parole. Bellissimo il racconto del suo amore per i bambini, che pure spesso lo deridevano o ne avevano paura, e con gli animali, forse la sua più grande fonte di ispirazione. Altro aspetto in cui Germano si rivela straordinario è l’emozionante rappresentazione del rapporto totalmente istintivo che Ligabue aveva con i colori, la tela, la materia. Dipingere e scolpire non era per lui un esercizio intellettuale, bensì un atto fisico, una battaglia, un’esplosione di energia, che lo portava quasi a diventare un tutt’uno con la sua opera nel momento stesso della creazione. Nella prima parte del film, attraverso una serie di flashback, viene raccontata l’infanzia e l’adolescenza di Antonio Ligabue. Figlio di emigranti, orfano di madre, affidato ad una coppia della Svizzera Tedesca e poi alle istituzioni. Infine costretto a tornare in Italia quando quei problemi psichici che lo tormenteranno per la vita si manifestarono con una gravità crescente. Nei suoi ricordi, le punizioni, la crudele derisione dei compagni, la violenta insofferenza del padre adottivo. Nella narrazione della sua vita adulta viviamo invece la povertà estrema, la solitudine e l’emarginazione. Il riscatto arrivò grazie alla protezione di una serie di figure chiave che ne compresero il talento, lo valorizzarono e gli offrirono anche l’amore e la tenerezza che nell’infanzia gli erano state negate. Non morì solo e non fu dimenticato. Sulla sua lapide è scritto “Il rimpianto del suo spirito che tanto seppe creare attraverso la solitudine e il dolore, è rimasto in quelli che compresero come fino all’ultimo giorno della sua vita egli non desiderasse che libertà e amore”. Da non perdere.
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