Peter, Daniel, Robert e Juliette. Ovvero il quartetto “The Fugue”, un formidabile ensamble di talenti che da venticinque anni mietono successi in tutto il mondo. Ma anche – e soprattutto – un groviglio di storie, sentimenti, caratteri, modi di essere tanto diversi tra loro da rendere “fragile” la loro pur longeva armonia.
Quando Peter, il più anziano dei quattro, scopre di essere gravemente malato e di dover presto abbandonare le scene, l’equilibrio si spezza e si innesta una spirale di reazioni a catena che porta i quattro vicinissimi al punto di rottura. Passioni, ambizioni, frustrazioni e tradimenti irrompono all’improvviso e senza annunciarsi. Trionferà la musica e una nuova armonia. Forse.
“Una fragile armonia” è l’opera con cui il documentarista Yaron Zilberman si cimenta per la prima volta con il cinema di finzione. Per farlo, chiama a raccolta un cast stellare. Philip Seymour Hoffman, Christopher Walken, Catherine Keener e Mark Ivanir ci regalano quattro ritratti di artisti sorprendenti, complessi, raffinati. Con interpreti così è davvero difficile sbagliare e infatti il film trova un suo equilibrio, anche se fragile, soprattutto a causa di una sceneggiatura non eccelsa e di una narrazione a tratti un po’ lenta. Poi c’è una New York innevata resa ancora più fascinosa dalle atmosfere dell’inverno. E c’è la musica. L’Opera 131 di Beethoven che ci guida come un ideale fil rouge attraverso tutta la narrazione è l’emblema perfetto di un’armonia che è frutto dell’appassionata ricerca di un’impossibile perfezione, sempre a un passo dallo spezzarsi, conquistata a prezzo di battaglie e contrasti con se stessi e la vita.
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