Un treno che corre in un paesaggio dal candore assoluto, come un enorme bruco nero di ferro e vapore. Una donna in fuga e pronta ad abbandonare i figli, per salvarli e – forse – salvare anche se stessa. Una bimba che lungo i binari assiste al frettoloso funerale del fratellino e poi ruba un libro che non leggerà, perché non sa leggere.
Inizia così “Storia di una ladra di libri”, film diretto da Brian Percival – già regista del celeberrimo Downtown Abbey – e tratto dall’omonimo romanzo di formazione di Markus Zusak, qui adattato dallo sceneggiatore Michael Petroni.
La narrazione attraversa gli anni bui della guerra e del nazismo durante i quali la piccola Liesel si integrerà con qualche difficoltà prima nella sua famiglia adottiva e poi nella comunità locale, stringerà amicizia con Max, un giovane ebreo in fuga che per anni i suoi genitori nasconderanno in cantina, e imparerà a “raccontare con gli occhi”. Tra partenze e ritorni, falò letterari e inni al regime vediamo Liesel innamorarsi dei libri, “presi in prestito” nella casa del borgomastro locale, e delle parole che scrive sulle pareti della cantina aggiungendone ogni giorno fino a comporre un gigantesco abbecedario personale. I libri, la lettura, la letteratura quindi, diventano strumento di salvezza dell’anima e della coscienza in un momento tra i più atroci della storia umana. Arma di silente ribellione ad un regime feroce. insospettabile vessillo di protesta contro la violenza cieca e ingiusta.
Voce narrante è quella della morte che, non priva di un insospettabile sense of humor, ha il suo gran daffare in quegli anni di guerra e non mancherà di esigere il suo dazio persino in quel paesino che sembra uscito da una fiaba e in quella strada che, ironia della sorte, si chiama “Paradiso”.
Alla regia di Brian Percival, didascalica e un po’ ingenua, sembra mancare purtroppo qualsiasi scintilla di creatività, ma confeziona comunque un film gradevole ed elegante grazie alla bella fotografia e alle ottime interpretazioni dei protagonisti. Su tutti Geoffrey Rush ed Emily Watson, oltre alla piccola Sophie Nélisse.
Alla fine la morte – come è la natura delle cose – andrà a prendersi anche Liesel, ma solo dopo tanti, tantissimi anni. La carrellata finale di foto d’epoca disposte sui mobili di un salotto pieno di luce ben rappresenta quanto la vita della nostra piccola protagonista sia stata intensa e ricca di amore. Trionfa su tutto il logo di una famosa marca di computer. Perché va bene la poesia e la letteratura, ma le ragioni del budget non risparmiano nessuno.
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