Chi sono i parassiti che si annidano nella vita lussuosa e perfetta della famiglia Park? Forse il misterioso fantasma che qualche anno prima ha terrorizzato il figlio più piccolo? Oppure Ki-Woo, il ragazzo povero che coglie l’inattesa opportunità offertagli da un amico per creare una possibilità di benessere per tutta la sua famiglia? Poveri, ma affiatati, semplici, ma scaltri. I genitori e la sorella di Ki-Woo colgono al volo l’occasione, inventando professionalità che non hanno e insinuandosi abilmente in quella casa ricca, perfetta, frutto del genio di un grande architetto, ma che nasconde, nelle sue viscere dimenticate, un inquietante segreto. Bong Joon-ho torna con “Parasite” alla sua forma migliore e miete riconoscimenti ovunque fino ad arrivare al trionfo dei tre premi Oscar. Dramma familiare, il film è soprattutto l’affresco spietato di una diseguaglianza sociale, che solo una povera illusione può immaginare di annientare. La famiglia di Ki-Woo guarda il mondo dalla finestra di un seminterrato, i Park da una enorme vetrata affacciata su un curatissimo giardino. Il Signor Park, top manager in una grande azienda informatica, parlando del padre di Ki-Woo, diventato suo autista, dice che è spesso sul punto di “oltrepassare il limite”, ma poi non lo fa. Ed è proprio quel limite, invisibile ma tangibilissimo, la corda sempre sul punto di spezzarsi che durante tutta la durata del film tiene noi spettatori con il fiato sospeso. Perché il dramma e nell’aria e tu sai che arriverà. Così, mentre la città viene travolta da un monsone e la casa di Ki-Woo finisce sott’acqua, i Park tornano da un week end in campeggio e, con insostenibile leggerezza, convocano i domestici per organizzare una festa in giardino. I due mondi si allontanano sempre di più, ma, tenuti fatalmente insieme dalla necessità, finiranno per collidere. “Parasite” è un film bello e riuscito che ha ampiamente meritato il suo successo. Dramma teso, con toni quasi dark, capitalizza una struttura perfetta, la recitazione asciutta ed elegante di tutto il cast e la fotografia, bellissima, di Hong Kyung-Po. Alla fine resta dentro un’angoscia sottile come una lama. Il dramma si è compiuto e la casa è vuota. Ma il “parasite” del titolo resta annidato in un luogo segreto della coscienza e si rappresenta attraverso segni labilissimi che solo in pochi possono cogliere. A ricordarci che “la ricchezza è un ferro da stiro che elimina tutte le pieghe”, ma che non ci esonera dal dramma quando l’invisibile corda della tolleranza si spezza.
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