Il 29 aprile esce nelle sale “The Housmaid”, l’ultimo film di Im Sang-Soo già noto per “The President’s Last Bang”, “La moglie dell’avvocato” e “The Old Garden”. Anche questo film tratta un argomento tabù: l’assassinio del presidente PARK Chung-hee avvenuto nel 1979.
Se l’azione di The Old Garden comincia nel punto in cui finisce l’azione di The President’s Last Bang, IM Sang-soo si confronta con un nuovo genere, dando origine ad un dramma storico e assumendosi la responsabilità di trasporre su pellicola un famoso romanzo di HWANG Sok-yong. Nel 2010 reinterpreta il capolavoro di KIM Ki-young, THE HOUSEMAID, presentato nella selezione ufficiale del 63esimo Festival di Cannes.
Intervista al regista Im Sang-Soo
Qual è il suo rapporto con il film originale, Hanyo, diretto da KIM Ki-young nel 1960?
In Corea Hanyo è un film leggendario, con cui tutti prima o poi abbiamo dovuto confrontarci. È un film che appartiene alla Storia e alla storia di ogni spettatore sudcoreano. Il produttore Jason Chae aveva da tempo intenzione di farne un remake. Aveva pronta una sceneggiatura e anche il cast, ma il progetto era stato poi trascurato. Mi ha chiesto di aiutarlo proprio nel momento in cui il film a cui stavo lavorando da due anni, e che dovevo girare in Francia, si trovava a un punto morto. La sfida era ovviamente enorme: confrontarsi con un tale monumento della nostra cultura. Ho scelto di riscrivere interamente la sceneggiatura, volevo essere l’autore completo del film e soprattutto non volevo trattarlo come una semplice commessa. Questo mi è valso una piccola polemica nazionale, visto che la sceneggiatrice che si era occupata del testo prima di me è molto famosa nel mio Paese. Il mio atteggiamento è stato dirmi che dovevo far meglio di KIM Ki-young o per lo meno eguagliarlo. Il suo film ha la particolarità di offrire una rappresentazione fedele della società coreana dell’epoca. Sono passati cinquant’anni, quindi la chiave del mio approccio è stata decidere che il mio film fosse lo specchio di questa evoluzione e dello stato di quella stessa società nel 2010.
I suoi tre film precedenti erano espressamente sociologici, culminanti con il celebre La Moglie dell’Avvocato. Ma questa non è una qualità che si applicherebbe a priori a THE HOUSEMAID, che si presenta soprattutto come un thriller sessuale stilizzato.
Per me, il soggetto profondo del film, la posta in gioco più importante, era descrivere quelli che chiamo i “super ricchi” del 2010. Persone che vivono dietro un muro, isolati dal resto della società, protetti dal culto del segreto, ma che sono i veri dirigenti della Corea odierna. Capisco che il film possa dare l’impressione di essere un esercizio di stile barocco e stravagante, ma la realtà è che sono obbligato a passare da qui per descrivere queste persone in maniera realistica. Perché è dai loro rifugi dorati, dissimulati dietro un velo misterioso, che orchestrano la nostra società. Nei primi tre film ho osservato i miei personaggi come farebbe un antropologo. Ed è quello che ho fatto ancora una volta per THE HOUSEMAID. Certamente, da quando il film è uscito in Corea qualche settimana fa, ne ho parlato nelle interviste come se si trattasse di una semplice suspense erotica. Ma solo perché altrimenti la gente non sarebbe andata a vederlo!
Il film non si basa su una semplice dialettica “amante/domestica”, con l’uomo al centro. Ci sono due amanti – la madre e la figlia – e due domestiche – l’anziana e la giovane – che rendono il film molto più complesso nella sua totalità.
È anche questo che permette di parlare dell’evoluzione dei costumi, di quello che cambia e di quello che si trasmette da una generazione all’altra. L’anziana domestica ha un comportamento un po’ schizofrenico: vorrebbe vivere come i suoi padroni, all’inizio tende a prendere le loro parti, ma sa bene, in fondo, che non potrà mai essere come loro. È un personaggio molto ambiguo, talmente invidioso nei confronti dei ricchi che finisce per opporsi all’assunzione della nuova governante Euny, di cui invidia la purezza e il rapporto molto sano che ha con il suo lavoro. Quanto alla padrona di casa, accetta il fatto compiuto dell’infedeltà del marito perché non ha altra scelta. In qualche modo, è lei che si inginocchia davanti a Euny, mentre questa rimane fedele a se stessa e alle sue convinzioni dall’inizio alla fine del film. La vedo come l’unico personaggio libero del film. La sola che non si sottomette mai. La sola che, alla fine, non è una serva…
Contrariamente all’originale, lei ha adottato il punto di vista di Euny piuttosto che quello del padrone di casa.
All’epoca, credo che fosse il riflesso della posizione del regista, KIM Ki-yung, un uomo piuttosto anziano che, attraverso il film, parlava senza dubbio della propria situazione, della sua domestica, dei suoi fantasmi o della propria colpevolezza in un mondo in cui era molto comune, tra la classe media, avere personale a domicilio, che necessariamente creava una qualche tensione sessuale. Il film si basava quindi su questa semplice idea, quasi semplicistica: l’eroe si sente minacciato e cerca di salvare la sua famiglia… Nel 2010 la classe media è decaduta. Era quindi normale che il mio interesse si rivolgesse soprattutto verso quelle donne sulla trentina impegnate in lavori di manodopera alquanto esigenti, come si può osservare all’inizio del film.
Questo cambiamento cambia radicalmente il significato morale e politico del film.
Era l’inizio. Volevo evocare esplicitamente la questione delle classi sociali in Corea e ancorare in qualche modo il film a sinistra. KIM Ki-yung, era un cineasta di destra. Io stesso sono piuttosto conservatore, ma rimango sensibile ad alcuni valori della sinistra. Diciamo che sono un liberale che capisce la sinistra (ride).
Nella maggior parte dei suoi film e in questo in particolare, il machismo si traduce in un’incredibile violenza fisica sulle donne. È un tratto del cinema coreano in generale, ma che è particolarmente marcato nei suoi film, che spesso, del resto, hanno delle donne come protagoniste.
È una domanda che mi fanno spesso in Occidente, ho l’impressione che mi segua ovunque! Ma oramai ho una vaga idea di come rispondere…
Ha visto il film di Yoichi Sai con Takeshi Kitano, Blood and Bones? Questo film fornisce la chiave per capire l’origine della violenza di cui gli uomini asiatici si rendono colpevoli in seno alle proprie famiglie, come se fossero mostri denudati dei sentimenti. L’idea sottesa del film è che questi uomini, siano essi giapponesi o coreani, soffrono di un complesso d’inferiorità molto radicato, di cui si liberano esercitando violenza in casa. Storicamente Occidente e Oriente si sono incontrati tra la fine del IX secolo e l’inizio del XX. A partire da quel momento le guerre coloniali hanno portato l’Asia sull’orlo del caos e del K.O. Il complesso degli asiatici deriva da questo K.O. Hanno perso, sono stati sconfitti e pertanto, malgrado questo sentimento d’inferiorità e di umiliazione, bisogna dargli falsi indizi, riempire il loro ruolo di patriarchi all’interno della famiglia. Necessariamente, queste due realtà entrano in conflitto.
Ma vincere o perdere la guerra è una problematica puramente maschile. Le donne non hanno lo stesso rapporto con le nozioni di “vittoria” o di “sconfitta”, non nutrono alcun complesso del genere. È per questo che mi piace descriverle nei miei film: perché la loro anima è intatta. Aggiungo che è ormai tempo per i giapponesi, i coreani, i cinesi o gli arabi di sbarazzarsi di questi complessi. Resta solo da capire come.
Nei suoi film, la sessualità gioca un ruolo importante, con una sorta di feticismo molto netto riguardo ai piedi e alle gambe delle donne…
Conosce molti uomini che non siano feticisti riguardo a piedi e gambe (ride)? Io no, soltanto dei gay…
In THE HOUSEMAID, il feticismo prende la forma di una citazione esplicita di Lolita di Stanley Kubrick, nella scena in cui la sposa si fa mettere lo smalto sulle unghie dei piedi. Kubrick era lui stesso un grande cineasta dialettico.
Non sono comunque un grande fan di Kubrick. Eccetto Barry Lyndon, grande capolavoro, trovo che la maggior parte dei suoi film siano un tantino sopravvalutati, compreso Il Dottor Stranamore che è stato ugualmente citato a proposito del mio The President’s Last Bang. Ma sa, faccio i film che mi va di vedere al cinema, senza preoccuparmi di influenze, di essere alla moda o di rientrare nelle categorie di ciò che piace per partecipare ai festival. È importante per lei come per me determinare lo stile del film che si intende promuovere, perché è in parte quello che determinerà il futuro del cinema. Ha parlato di “dialettica”, ma la forma di cinema che a me interessa è solo una: un misto tra satira e tragedia. All’inizio degli anni Sessanta, il cinema d’arte e d’essai, così com’era interpretato dai francesi o da Antonioni, era sinonimo di modernità, perché molto innovativo rispetto ai tempi.
Da allora tutti quelli che hanno subito questa influenza sono stati sostenuti dalla critica e mai messi in discussione, quindi secondo me, ripetere ancora gli stessi film di un tempo non ha più nulla a che vedere con la modernità. È al contrario un modo di riprodurre delle formule inerti che generalmente non offrono altro che filmetti noiosi.
Una volta ha affermato che la sceneggiatura è il vero atto artistico nel processo di creazione di un film, ancora più artistico della regia. Vedendo le lussureggianti inquadrature di THE HOUSEMAID, il modo di riprendere gli interni, che evoca Orson Welles, questa tesi sembrerebbe sempre più difficile da sostenere.
Ho sostenuto il genere di proposito, dopo La Moglie dell’Avvocato, o ancora forse l’ho sentito al momento di girare The President’s Last Bang. Ma ha ragione, le cose sono cambiate in seguito. Per la prima volta, mentre lavoravo a THE HOUSEMAID, è stato dietro la macchina da presa, al momento di dirigere, che ho sentito la gioia, l’euforia di essere un artista. Ritiro, dunque, quanto ho affermato in proposito.
Un film di Im Sang-soo. Con Jeon Do-yeon, Lee Jung-Jae, Youn Yuh-jung, Seo Woo, Park Ji-young. Titolo originale Hanyo. Thriller, durata 106 min. – Corea del sud 2010. – Fandango uscita venerdì 29 aprile 2011.
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