Nella Kermesse calabrese, doppio premio per il film di Rocco Papaleo: miglior regia e miglior attrice.
“La Basilicata esiste. È un po’ come il concetto di Dio: o ci credi, o non ci credi”. L’affermazione che sigla l’inizio del viaggio attraverso la “Basilicata coast to coast” nel fortunato film di Rocco Papaleo potrebbe, a giudicare da quanto si è visto al Tropea film festival – che si è tenuto dal 17 al 23 agosto e ha visto trionfare, appunto, l’opera prima del regista lucano – essere traslata al cinema italiano.
Cinema italiano che esiste, e gode di buona salute: lo ha affermato il premio oscar Giuseppe Tornatore, che, per la sua carriera, ha ricevuto il riconoscimento “Tropea 2010″. Lo ha ripetuto la presidente della giuria, Cinzia Bomoll, vincitrice della scorsa edizione con “Il segreto di Rahil“, che ha affermato: “La vera protagonista del festival è stata la qualità”.
L’opera prima di Rocco Papaleo, che racconta il passaggio a piedi attraverso la Basilicata, dal Tirreno allo Ionio, di quattro scalcinati cantanti – metafora di un viaggio alla ricerca di se stessi – ha incantato il pubblico e la giuria con la sua ironia aggraziata e la sua leggerezza non priva di spessore: premiata, oltre al tocco lieve del regista, l’interpretazione di Giovanna Mezzogiorno, nei panni di una giornalista annoiata che segue l'”impresa”.
Miglior sceneggiatura è stata, invece, dichiarata quella del film “Aria”, di Valerio D’Annunzio. Il miglior attore di lungometraggi è stato il piccolo Claudio Salvato, nello struggente ruolo del bambino cardiopatico in “Non te ne andare“.
Nella categoria “cortometraggi”, il premio per la miglior regia è andato a Paolo Sassanelli, per “Uerra”. Migliori attori sono stati Marco Di Bella e Piera Degli Esposti.
Il meccanismo del festival di Tropea, per cui il regista vincitore presiede la giuria della successiva edizione, è garanzia di trasparenza, e serve a dare uno sguardo tecnico ai film, per il resto valutati da “non addetti ai lavori”. Anche se, come ha detto Giuseppe Tornatore, “quando si va al cinema si devono smettere i panni del regista, e farsi catturare dalla storia”. E non bisogna scartare nessun genere a priori, perché il confronto tra i vari toni alimenta lo spirito critico.
Proprio nel ritorno al “film di genere” – musical, di guerra, storico, – Cinzia Bomoll vede la meta del “viaggio coast to coast” che dovrebbe compiere, dentro e verso se stesso, il cinema italiano: “Si dovrebbe tornare alle radici della nostra identità – spiega – partendo, ad esempio, dalla “commedia all’italiana”, quella di Totò e di Sordi. In questo campo vedo i migliori risultati, con pellicole apprezzate anche dal grande pubblico: tornano a fare cassetta film intelligenti e carini, come è, appunto, quello di Papaleo”.
Michela Molinari
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